venerdì 1 ottobre 2010

Prepariamoci alle terapie 2 – L'accesso venoso centrale: come si mette?

Prima di mettervi un accesso venoso centrale, i medici controlleranno i vostri esami del sangue, in particolare la coagulazione e le piastrine: è importante che i sanguinamenti da eventuali “buchetti” indesiderati si fermino subito, quindi la vostra coagulazione e le vostre piastrine devono funzionare bene.

Per prima cosa il medico prepara un “campo sterile”: la cannula che vi sta per mettere entrerà in una grossa vena che arriva direttamente al cuore, quindi è importante evitare tutto ciò che può dare infezione! In pratica disinfetta ben bene non solo il punto dove dovrà fare la puntura, ma una zona molto più ampia; e poi copre tutto con telini sterili, lasciando libera solo la zona dove deve “lavorare”. Probabilmente il telino vi coprirà la faccia: se vi dà fastidio ditelo subito. È importante che non vi muoviate dopo, mentre il medico sta lavorando!
Poi vi faranno un po' di anestesia locale nella zona in cui metteranno la cannula e i punti per fissarla. L'anestetico locale brucia un po' mentre lo iniettano, ma dopo vedrete che non sentirete niente. Sentirete solo spingere, e forse un po' di bagnato se esce un po' di sangue. State immobili, se c'è qualche problema (avete male o prurito al naso o il telino dà fastidio...) ditelo senza muovervi, ed evitate di fare respironi profondi. Tenete presente che, contrariamente alle vene sulle braccia, la vena profonda in cui il medico deve mettere la cannula non si vede né si sente dall'esterno: il medico sa dov'è ma a volte deve cercarla un po'. Abbiate pazienza, e vedrete che sarà una procedura più veloce di quel che pensate.

Dopo aver posizionato la cannula, bisogna fissarla. L'Hohn si fissa facilmente, con dei punti, alla cute, oppure con una particolare placca adesiva (che è molto meglio dei punti!). Il Groshong va “tunnellizzato”, cioè lo si fa passare sottocute fino a farlo emergere, in genere, davanti allo sterno: in questo modo è molto più difficile che si sposti o si tolga. Per il Port invece bisogna ancora fare una “tasca” sottocute in cui mettere il piccolo “serbatoio” a cui collegare la cannula; il tutto poi si chiude con punti riassorbibili, o che si toglieranno dopo qualche giorno. TUTTE queste manovre vengono eseguite in anestesia locale: se avete male ditelo! Ricordatevi che il dolore non è una cosa che “dobbiamo sopportare”, se non per brevissimi momenti: i mezzi per non sentire dolore ci sono! Però se non dite a medici e infermieri che avete dolore loro non possono aiutarvi.

Una volta posizionato il vostro accesso venoso, vi porteranno a fare una lastra del torace. La lastra ha due scopi. Innanzitutto conferma che la cannula sia posizionata bene. Inoltre controlla che non si sia accidentalmente “bucata” la pleura, che è una specie di “sacchetto” che circonda il polmone tenendolo sottovuoto e “in aspirazione”: se si buca la pleura, il polmone tende a collassare, in maniera più o meno importante (è il cosiddetto “pneumotorace”). I medici sono sempre molto attenti a non bucare la pleura, ma purtroppo qualche volta può succedere. Se il pneumotorace è piccolo in genere si riassorbe da solo, se è un po' più grande i medici prenderanno i necessari provvedimenti.

Se la lastra del torace è a posto, complimenti! Avete un accesso venoso centrale ben messo e utilizzabile, e le vene periferiche di braccia e gambe ve ne saranno grate! Ricordatevi che queste cannule vanno lavate e eparinate regolarmente: cioè anche se ci sono lunghi periodi in cui non fate terapie né prelievi dovete andare ogni tanto a far “lavare” la cannula (iniettando della soluzione fisiologica, in pratica acqua sterile) e a metterci un anticoagulante, l'eparina, in modo che il sangue non si coaguli tappando la cannula. Una cannula ostruita è inutilizzabile e va sostituita: quindi fate attenzione!
Un'altra cosa a cui fare attenzione, per Hohn e Groshong, è la pulizia del sito di inserzione della cannula e dei punti. Non “pasticciatela” e tenetela sempre ben pulita e coperta con una medicazione sterile, e segnalate alle infermiere se per caso vi fa male o si arrossa o si gonfia: le infezioni in questa sede sono un guaio da evitare.

Bastano queste poche attenzioni e la vostra cannula durerà a lungo; e vedrete che renderà la vostra vita di paziente molto più facile...

martedì 24 agosto 2010

Prepariamoci alle terapie 1 – L’accesso venoso centrale: cos’è???

Finito il turbinio di esami per capire tutto sul vostro linfoma c’è un’altra cosa importantissima da fare: mettere un accesso venoso centrale. E che cos’è??? È il vostro migliore amico per fare terapie e molti esami… ma lo scoprirete solo col tempo, e vi piacerà tantissimo soprattutto se all’inizio siete stati bucherellati come un colabrodo per fare i prelievi e avete passato le prime terapie con le braccia immobili perché non andassero fuori vena!

L’accesso venoso centrale è una cannula che viene messa, come dice il nome, in una vena “centrale”: non cioè una delle vene che vediamo nelle braccia, sulle gambe o nel collo, ma una vena bella grossa che arriva direttamente al cuore. Una vena così grossa che ha le pareti belle spesse e ci passa tanto sangue, così il farmaco non riesce a danneggiarla come invece succede con le povere piccole vene periferiche. In genere si sceglie la vena succlavia, destra o sinistra a seconda dei casi. Le cannule invece possono essere di diverso tipo. Racconto qui i tipi più comuni, che sono tre (può essere che i nomi cambino in altre zone d’Italia, ma non credo), e poi vi spiegherò cosa succede quando ti mettono una cannula venosa centrale. Ci tengo a precisare, nel caso leggesse qualcuno del “settore medico”, che nella mia descrizione non voglio essere scientificamente precisa: per questo ci sono un sacco di altre fonti. Voglio spiegare a chi metterà la cannula cosa deve aspettarsi quando gliela mettono, cosa si ritroverà addosso, e i pro e i contro delle varie cose.

CANNULA TIPO HOHN

Il nome vi sembra difficile? Aspettate i prossimi! ^___^
Si legge semplicemente “on”, ed è semplicemente una cannula che spunta fuori da un buchetto della pelle… diversamente da altre cannule però è in silicone morbido, e può essere usata da tre a sei mesi, poi va cambiata. A favore di questa cannula c’è il fatto che appena finite le cure si toglie subito, anche il giorno stesso. Inoltre permette di infondere i liquidi velocemente, per cui può essere usata, per esempio, anche per fare la TAC con il contrasto (il porth per esempio no).
Ma, per il fatto che “spunta” dalla cute, bisogna curarla con attenzione, perché la pelle si può infettare: e quando fai terapie che azzerano le difese immunitarie le infezioni possono diventare pericolose. Inoltre, sempre perché spunta fuori, quando si vuole fare la doccia bisogna coprirla con un adesivo impermeabile, ed è sempre un po’ un pasticcio.
In genere la cannula che “spunta” dalla cute viene fissata con dei punti. C’è chi li sopporta benissimo; ma anche i punti possono infettarsi, o comunque essere fastidiosi. Per questo sempre più spesso viene usato un altro mezzo di “fissaggio”, lo Stat-lock (è il nome commerciale, in altri posti si chiama in modo diverso) che è una placca adesiva che va cambiata ogni due-tre settimane. Una goduria, se come me avete punti che non si infettano ma si infiammano. Se nel centro dove siete in cura non lo usano provate a chiederlo. È tutta un’altra vita.
Come dicevo con l’Hohn bisogna fare attenzione alle infezioni, ma anche al fatto che si può facilmente tappare, quindi: tenete sempre la medicazione che vi fanno in ospedale e non lasciate mai scoperto il punto di inserzione (piuttosto fatevi dare qualche medicazione in più per cambiarla a casa, non si sa mai); badate che non scappi il tappino, perché altrimenti i batteri possono entrare nella cannula e da lì nel sangue quando verrà usata; ricordatevi che bisogna farla eparinare (cioè mettergli dentro l’eparina, che è un anticoagulante e impedisce che si tappi) ogni settimana; e se vi viene la febbre e avete la cute arrossata nel punto di inserzione o avete perso il tappino fatelo presente a medici e infermieri.
Io, essendo anestesista (in genere queste cannule vengono messe dagli anestesisti… siamo gli esperti delle punture! ^___^), sono stata consultata sul tipo di cannula da mettere, e per l’ABVD avevo scelto l’Hohn. Visto che sapevo bene come “mantenerlo”, a me è durato anche più di sei mesi… ma mi ha fatto tribolare un po’ per i punti, e per l’impossibilità di lavarmi come si deve! Per fortuna non era un’estate calda… ^___^
Per i motivi che ho detto, l’Hohn viene in genere usato per chi deve fare terapie brevi, o per chi deve mettere una cannula “provvisoria” prima di passare al porth, che vedremo ora.

PORT-A-CATH

Vi ho detto che i nomi erano strani… Questo è così strano che normalmente viene chiamato solo “port”. È anche questa una cannula che viene messa nella vena succlavia, ma anziché spuntare fuori dalla cute, finisce in un piccolo “serbatoio” piatto che viene messo sotto la cute, con un taglietto di due-tre centimetri. Per usarlo bisogna bucare la pelle con un ago particolare che arriva al serbatoietto, che ha un “coperchio” in gomma che può essere bucato molte volte.
Svantaggi: sia per metterlo sia per toglierlo è necessario fare un taglietto (è una piccola “operazione”, se vogliamo) e resta una cicatrice (anche se le mie cicatrici dei punti dell’Hohn sono molto peggio del taglio del Port…); va bucato tutte le volte (se proprio siete sensibili, potete fare almeno un’ora prima un impacco con una pomata anestetica che si chiama EMLA, e lasciarlo lì; viene usata anche per fare i prelievi ai bimbi… A me personalmente non dà tanto fastidio, perché sento quando buca ma poi il male passa subito); non si possono infondere liquidi ad alta velocità o ad alta pressione, per cui per alcune cose vanno cercate altre vene (per esempio la TAC con contrasto, o il prelievo di staminali che comunque spero non dobbiate fare), e se ne avete poche come me la cosa diventa problematica… parte la caccia alla vena! Mettetevi comodi e rilassati e abbiate pazienza se vi bucherellano più volte, loro stanno facendo del loro meglio ma è una caccia difficile… ^___^
Vantaggi: una volta guarito il taglietto la pelle è integra, quindi non c’è rischio di infezioni e potete farvi la doccia quando volete (con beneficio anche di chi vi sta vicino! ^___^); oltre a non richiedere medicazioni “esterne”, si eparina meno spesso (basta una volta al mese); può durare anche due-tre anni… tutti speriamo non serva così a lungo, ma non si sa mai!
Credo si sia capito che ho provato anche il port, che ho ancora adesso: come dicevo sopra, il mio migliore amico per le terapie, e ringrazio di averlo messo ogni volta che faccio un’infusione… e ogni volta che faccio la doccia! (compresi i bagni in piscina e alle terme… ^___^)
Per altre informazioni sul port: http://www.portadvantage.com/language/Italian/patient/about_implanted_ports.html

GROSHONG

Pensavate che i nomi strani fossero finiti? E invece no! ^___^
Groshong (che si pronuncia “grosciong”) in realtà non è il nome di tutta la cannula, ma solo di un tipo di punta, che è a valvola e impedisce al sangue di refluire nella cannula, che quindi in teoria non andrebbe eparinata. Ma in genere viene chiamato così un tipo di cannula che, come l’Hohn, “spunta” fuori dalla pelle, ma visto che la cannula viene fatta passare sotto la cute e fatta “spuntare” un po’ distante dal punto di inserzione è più difficile che si sfili accidentalmente; può essere usato più a lungo dell’Hohn inoltre in genere è più “grosso” e quindi si possono fare infusioni ancora più veloci.
Per fortuna io almeno il Groshong l’ho evitato, quindi non so dirvi molto di più… Il mio Port ha una punta Groshong, ma non sto a parlarne oltre perché vi confonderei le idee.

Ultimo accenno: in alcuni reparti di oncologia (non so se anche di ematologia) vengono utilizzate quelle che una volta erano chiamate “cannule atriali lunghe”: sono delle cannule davvero lunghe, che vengono inserite nel braccio e arrivano fino alle famose grosse vene di cui parlavo sopra (tutte le vene sboccano lì). Sono molto pratiche, ma anche queste non “reggono” grosse velocità e grosse pressioni. Dove sono in cura io non sono usate.

In conclusione: io ho “provato” personalmente Hohn e Port, nel caso qualcuno avesse qualcosa da chiedere al riguardo… ^____^

(Immagini da http://www.med.unipi.it/endochir/nutriz_parenterale.htm; http://www.portadvantage.com/language/Italian/patient/about_implanted_ports.html)

Un salto nel tempo… La mia storia ad oggi

Ho iniziato questo blog per raccontare la mia storia con il linfoma pensando fosse finita… non è così, ed è questo che mi ha portato a scrivere così poco: non tanto perché non avessi tempo, quanto perché non si trattava più di raccontare una cosa lontana, ma attualissima; il che però dovrebbe essere vera materia di un blog… insomma, mi è tornata la voglia di scrivere ed eccomi qua. Ma mi sembrava giusto anticipare qualcosa della mia storia, anche per far capire meglio da dove vengono le mie “conoscenze”, non solo come medico ma come paziente.
Dunque, ho scoperto di avere un linfoma di Hodgkin (e da qui riprenderà la mia storia nei prossimi post), ho fatto l’ABVD, ciclo che nella maggior parte dei casi conduce a guarigione, e la radioterapia… e sei mesi dopo alla TAC si è scoperta una recidiva. Per cui: di nuovo chemio (dopo aver rimesso un accesso venoso centrale, stavolta un Port-a-cath, la prima volta un Hohn) e autotrapianto, previo condizionamento con cisplatino e chemioterapia con AraC ad alte dosi (non ricordo ora tutti i farmaci ma li scriverò a suo tempo…); ma l’autotrapianto non è bastato, quindi ora sto facendo l’IGEV e aspettando il trapianto da donatore…
In tutto questo tempo ho fatto trasfusioni, perso i capelli un po’ di volte, messo accessi venosi comuni e meno comuni (il coassiale in vena femorale per il prelievo delle staminali, visto che le mie vene periferiche dopo la chemio fanno un po’ schifo… due volte), passato giornate intere in day hospital uscendo per ultima ma a volte per fortuna anche a ore decenti, aspettato chiamate per il ricovero, fatto ricoveri in isolamento, non ho avuto nausea quando tutti ce l’hanno ma ho anche vomitato quando proprio dovevo, e intanto sono anche tornata a lavorare e sono stata in vacanza in Sardegna, a Dublino e a Malta!
Tutte queste esperienze da “paziente” mi hanno insegnato tanto. Quando tornerò a lavorare sarò un medico diverso (indipendentemente dalle limitazioni che purtroppo, visto il mio lavoro un po’ particolare, dovrò accettare). Ma mi piacerebbe condividere quello che ho imparato con chiunque abbia voglia di leggere questo blog. Magari potrebbe essere utile a qualcuno. Magari chi mi conosce scoprirà qualcosa di me che non sa. E magari qualcuno che sta passando per storie simili vorrà dire la sua e commentare… sarebbe bello!
Ecco qui. Da oggi le due storie, passata e presente, viaggeranno in parallelo.

martedì 13 aprile 2010

Diagnosi e stadiazione 3 – La mia storia

Quando sei anestesista, lavori in ospedale e scopri di avere un linfoma nel bel mezzo del turno di notte, è normale che l’iter diagnostico sia un po’ diverso dal solito…

Il primo esame che ho fatto dopo l'rx torace, in realtà, non c’entrava nulla con quelli che ho raccontato nel post precedente.

Il tecnico di radiologia mi ha dato la lastra fatidica. Sono passata dal collega internista del pronto soccorso che mi aveva prescritto gli esami, e anche lui capisce tutto al volo. Mi consiglia soprattutto di trovare una persona che mi segua, e farmi seguire sempre da lei. Non mi consiglia nessuno… io sono un po’ frastornata e tanto stanca, è mezzanotte, ho già fatto un cesareo e altro, me ne torno in reparto.
E trovo le infermiere, che subito si preoccupano ma francamente non possono fare nulla. E il mio collega. Che come vede la lastra inizia a preoccuparsi anche lui e capisce benissimo cos’è, e che non riesce proprio a non “fare” qualcosa. Allora si mette a cercare le diagnosi alternative che possano spiegare un allargamento del mediastino in un’rx torace… “E se avessi un’aneurisma dell’aorta?”.
Porca miseria, preferisco il linfoma! Ma so che lo dice per scherzare, o meglio per sdrammatizzare un po'… Insiste nel volermi far fare la TAC ora, magari chiamando anche il radiologo (che di notte è reperibile e deve arrivare da casa). Ma cosa cambia, farla ora o domattina? Non è una TAC urgente! Mi impunto.
Allora… allora chiediamo al cardiologo di fare un’ecocardiogramma! Così escludiamo altre cose!
E va bene… La cardiologa era ancora sveglia, gentilissima, e mi ha fatto l’ecocardiogramma, che ovviamente ha detto che il mio cuore e la mia aorta stavano benissimo.
Così ho salutato il mio collega e me ne sono finalmente andata a dormire…
Pensavo che l'ecocardiogramma fosse un esame inutile, ma tutto sommato gli ematologi sono stati contenti di averlo. Visto che alcuni farmaci che si fanno nella chemioterapia sono cardiotossici, essere sicuri che il cuore è a posto è una sicurezza in più. Non so però se lo facciano di routine, soprattutto nelle persone giovani, perché io l’ho fatto in maniera un po’ rocambolesca.

Arriva il mattino. E arriva il mio primario.
Il collega gli racconta cosa è successo ai pazienti ricoverati durante la notte: X ha tenuto bene… Y ha avuto qualche problema respiratorio, ho fatto così e cosà… sono arrivati i batteriologici di Z, gli ho messo questo antibiotico… e poi c’è Claudia che non ha una bella lastra.
Il capo è spiazzato. Eh???
Gli facciamo vedere la radiografia famosa. Prima ancora di staccare gli occhi dalla lastra parte l’ordine primariale: “Il primario di radiologia è già arrivato, ho visto la sua macchina nel parcheggio, vada a farsi fare la TAC!”. Agli ordini!

Le infermiere sono in fibrillazione. La caposala mi chiama e mi “impone” che una di loro mi accompagni: vorrai mica andare da sola? Non si può essere da soli in certi momenti! Accetto la compagnia (anche perché proprio non posso rifiutare! ^___^)

Il primario di radiologia e gli altri radiologi sono gentilissimi, soprattutto dopo aver visto la lastra. E preoccupati anche loro. Sono persone con cui lavoro tutti i giorni, e anche se ogni tanto possiamo avere discussioni "professionali" ci vogliamo bene. E come tutti, fanno quello che possono per aiutarmi. E il loro “possono” è la TAC, e già che ci sono anche l’ecografia del collo.
Il primario impiega 20 minuti a refertare la TAC… linfoma mediastinico di 11 x 13 x 7 cm, che comprime la vena cava e disloca la trachea. Per forza mi si è gonfiato il collo e la giugulare e facevo fatica a dormire sdraiata! Ho un panettone piantato in mezzo al petto e non lo sapevo!
Torno in reparto e trovo il capo: “Ho telefonato al primario di ematologia del … (un ospedale vicino, da noi ematologia non c’è), l’aspetta”. Agli ordini!
Le infermiere mi dicono che, a maggior ragione, non posso andare da sola fino a un altro ospedale, in macchina, e poi per parlare di cose così importanti. Così mi ritrovo anche con… la scorta!

Sono andata a parlare col primario di ematologia, ha guardato gli esami e confermato l'ipotesi di linfoma, mi ha rassicurato sul fatto che il linfoma ha una buona prognosi e fatto tornare il giorno dopo per incontrare il medico che si occupa di linfomi e che mi ha poi preso in cura. Da lì il mio iter è diventato più “normale”, seguendo le prenotazioni e i tempi soliti.

Ma nel “mio” ospedale, tra i “miei” colleghi, ho fatto nel giro di poche ore esami ematochimici, Rx torace, ecocardiogramma, TAC ed ecografia del collo, e ho avuto il primo incontro con un ematologo, senza mai essere stata lasciata sola. Può sembrare “favoritismo”. Ma lavoriamo insieme per ore, e alla fine si diventa un po’ una famiglia. E in famiglia ci si aiuta nel momento del bisogno.

Diagnosi e stadiazione 2 – Notte prima degli esami…

Sarà un lungo post… preparatevi…

Dicevamo che, oltre a sapere che tipo di linfoma abbiamo, per i medici che ci curano è importante sapere anche quanto il linfoma si è esteso. Gli esami fondamentali per saperlo sono tre: la TAC, la PET e la biopsia ossea.

La TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) è il principale esame per vedere come è fatto il linfoma: dov’è, quanto è grosso. Sarà l’esame che farete più spesso, durante e dopo la terapia, per essere sicuri che il linfoma stia rimpicciolendo e, dopo la guarigione, per verificare che non gli venga in mente di rispuntare di nuovo. Per vedere bene i linfomi la TAC va fatta col mezzo di contrasto: vi metteranno una cannulina in una vena e vi inietteranno il contrasto subito prima di iniziare a “scattare le foto”. Se il contrasto viene iniettato in una vena piccola (e dopo un po’ non avrete più molte vene cicciose…) può bruciare un pochino: avvisate (basta parlare, il personale vi sente dagli altoparlanti), ma non muovetevi mentre la TAC è in funzione, altrimenti l’esame è da rifare! Comunque in genere alla prima TAC questo non succede perché le vene sono ancora belle e piene; e spesso durante la terapia si hanno degli accessi venosi permanenti (che racconterò più avanti) e quindi il contrasto non è un problema.

(Nella foto: TAC fatta a... una mummia! Dal sito www.aton-ra.com)

La PET (Positronic Emission Tomografy – Tomografia a emissione di Positroni), anche se a farla è molto simile alla TAC, solo più lunga, in realtà è un esame diverso. Funziona così (mi scusino eventuali radiologi e specialisti per le imprecisioni…): prendono del glucosio e lo “marcano” in maniera che rilasci positroni, che sono delle particelle che i nostri atomi normalmente non rilasciano. Questa “marcatura” è una cosa complessa, richiede un acceleratore di particelle, roba che riguarda la fisica nucleare per intenderci… Questo glucosio “marcato” è il mezzo di contrasto. Viene iniettato e, mescolandosi con tutto il glucosio che abbiamo nell’organismo, va a fare il suo lavoro: cioè va alle cellule, che non si accorgono di certo che è marcato e lo usano come qualsiasi altra molecola di glucosio.
Ma le cellule tumorali sono particolarmente ingorde. Vogliono crescere, crescere, crescere… Risultato: “captano”, cioè si mangiano, più glucosio delle altre.
La PET va a vedere proprio questo: dove va a finire il glucosio che ci hanno iniettato. A livello del linfoma ci sarà un accumulo anormale. È un esame molto sensibile, riesce a vedere anche nodini piccoli che magari alla TAC sfuggono o non si vedono. Non è un esame che si fa spessissimo, primo perché è molto costoso e quindi è meglio non farlo se non è necessario; secondo perché in alcuni periodi (per es. dopo alcune terapie) può dare dei risultati poco specifici ed essere meno preciso. Va fatta al momento giusto.

Nella pratica: quando andrete a fare la PET mettetevi comodi e portatevi da leggere, lettore MP3, lavori all’uncinetto o a maglia… perché è un esame LUNGO!!!
Innanzitutto dovete essere a digiuno. Digiuno vero, non “ho preso solo il caffè”: non dovete ingurgitare altro glucosio in nessun modo! Non valgono nemmeno le caramelle e i chewingum senza zucchero! Niente di niente! Mettetevi l’anima in pace e pensate alla carbonara con cui vi ricompenserete tornando a casa.
Quando vi chiamano per l’esame, per prima cosa avrete un colloquio con un medico, che vi chiederà la documentazione sulla malattia (portate tutto, soprattutto la TAC) e informazioni che gli servono per l’esame, e vi farà firmare i vari consensi.
Dopodiché vi misureranno la glicemia (facendo un buchetto sul dito e prendendo una goccia di sangue), perché se avete il glucosio nel sangue troppo alto l’esame non riuscirà: bisogna essere sicuri che il glucosio sia basso.
Poi vi inietteranno in una vena del braccio il glucosio marcato. Dopo l’iniezione bisogna aspettare UN’ORA prima di fare l’esame. Per questo vi ho detto di prendervela con calma… E in quest’ora bisogna cercare di stare tranquilli il più possibile, bere mezzo litro d’acqua che vi daranno… e fare più pipì possibile nel bagno predisposto, che è particolarmente simpatico perché è di metallo, con lo scarico schermato, visto che ci finisce pipì con glucosio che emette positroni! ^___^
Dopo avervi detto di fare un’ultima volta la pipì, vi faranno finalmente fare l’esame! Vedrete che è proprio come fare una TAC, però dura anche più di venti minuti! Consiglio un pisolino… se riuscite col freddo e col rumore dei condizionatori. A proposito di freddo, per fare la PET (e la TAC, e se è per questo qualsiasi radiografia) non è necessario spogliarsi del tutto, basta non avere oggetti metallici. Dovete togliere il reggiseno, ma potete sempre tenere una canottiera o una maglietta. Dove ho fatto io la PET, poi, offrivano degli elegantissimi camicini blu usa-e-getta, e ti coprivano le gambe con una copertina.

E veniamo alla biopsia ossea. “Biopsia” vuol dire andare a prendere un pezzettino di qualcosa, in questo caso di osso. Perché? Perché dentro le ossa c’è il midollo osseo, che è la “fabbrica” delle cellule del sangue. Nelle fasi avanzate il linfoma può invadere il midollo osseo, e bisogna essere sicuri che questo non sia accaduto.
Normalmente il campione si preleva dalla cresta iliaca. In pratica, vi fanno in buco nella parte più alta del sedere, al confine con la schiena, ad altezza lombare. Sdraiati su un fianco, viene prima fatta l’anestesia locale e a volte qualche farmaco endovena per aiutare a tranquillizzarsi e magari “pisolare” un po’; poi si inserisce (voi non vedrete niente, è tutto alle vostre spalle) una specie di grosso ago e si inserisce la punta nell’osso, prendendone una “carota” molto piccola ma sufficiente per l’esame istologico. Se dopo l’esame vi ritrovate un bell’ematoma è normale.
Dicono che la biopsia ossea a volte faccia un po’ male. Io non so dirvelo: dovendo fare la biopsia del linfonodo in anestesia generale, abbiamo organizzato perché facessero nella stessa sede anche la biopsia ossea. Quindi dormivo…

Oltre a questi, può essere che i medici vi facciano fare anche altri esami, magari per indagare altri problemi di salute oltre al linfoma di cui tenere conto.

Bene. Una volta fatti tutti questi esami i medici possono stadiare il vostro linfoma, cioè sapere a che punto è arrivato. Ci sono 4 stadi (I, II, III, IV), a cui si aggiunge una lettera (A o B) a seconda che ci siano o meno dei sintomi caratteristici, come la sudorazione notturna o il calo di peso, che si è visto essere correlati a una prognosi lievemente meno bella (vuol dire che vanno un pelino meno bene… ma proprio un pelino! Ricordatevi che anche gli Hodgkin in stadio IV hanno probabilità di guarigione completa dell’80%!).

Per esempio, il mio linfoma era IIB bulky:

stadio II: perché comprendeva più di un linfonodo (stadio I), ma era diffuso solo da un lato del diaframma e non da tutti e due (stadio III) e la biopsia ossea era negativa, quindi non aveva invaso il midollo osseo (stadio IV).

B: perché avevo sudorazione notturna (il prurito una volta era considerato un “sintomo B”, poi l’hanno tolto perché il prurito da solo non cambia la prognosi)

Bulky: perché era particolarmente “ciccioso” (bulky in inglese vuol dire "voluminoso, massiccio, ingombrante")

Queste sigle e numeri per un paziente possono non voler dire niente, ma come dicevo per l’ematologo cambia il tipo di terapia da fare, quindi sono importanti.

Diagnosi e stadiazione 1 – C’è linfoma e linfoma…

Ok, hanno scoperto o sospettano che abbiate un linfoma. E adesso?

Adesso è importante fare due cose. Innanzitutto verificare che sia davvero un linfoma e che tipo di linfoma è, perché ne esistono molti tipi diversi e ognuno si cura in maniera diversa. E poi è importante sapere quanto si è esteso: la cosiddetta "stadiazione", capire a che stadio è arrivato. Un linfoma non “cresce” soltanto: tende a diffondersi ai linfonodi vicini, finché non li ingloba, e nelle fasi più avanzate si diffonde al midollo osseo, che è la “fabbrica” delle cellule del sangue. Ovviamente più il linfoma è grande e diffuso, più la terapia deve essere aggressiva. Tenete comunque presente che la prognosi (cioè il “come andrà a finire?”) per il linfoma, soprattutto di Hodgkin, è sempre molto buona rispetto agli altri tumori anche nelle fasi più avanzate.

Come capire che tipo di linfoma avete? Per saperlo con certezza c’è un solo modo: prenderne un pezzetto e vedere com’è fatto. Quindi bisogna fare una biopsia di un linfonodo colpito, cioè prendere un linfonodo, e fare il cosiddetto esame istologico, cioè vedere in che modo sono disposte le cellule e qual è la “struttura” del tessuto del linfonodo.

I linfonodi ovviamente si prelevano con un intervento chirurgico. Se avete dei linfonodi infossati facilmente accessibili – sopra la clavicola, sotto l’ascella, all’inguine per esempio – si tratta di un piccolo intervento che si può in genere eseguire in anestesia locale. Se invece la massa è più profonda – per esempio addominale, oppure mediastinica, cioè dietro lo sterno tra i due polmoni e il cuore – sarà necessario un intervento di tipo diverso, probabilmente in anestesia generale. Comunque vi spiegheranno tutto: ricordatevi che fare domande e capire bene è vostro diritto, e che nessuna domanda è stupida! Chiedete di rispiegare tutto quello che non capite e chiedetelo PRIMA!

Dicevo che i linfomi possono essere di tanti tipi. I tipi principali sono due: il linfoma di Hodgkin (dal nome del signor Hodgkin, che per primo descrisse i sintomi tipici legati a questa malattia), che a sua volta comprende diverse varianti; e il gruppo dei linfomi non Hodgkin, cioè… tutti gli altri! Che anche loro possono essere di diversi tipi…

Come ho già scritto, se vi interessano le varie classificazioni vi rimando ai siti più “tecnici”. Qui racconto la mia esperienza con il linfoma di Hodgkin, variante scleronodulare.