domenica 20 marzo 2011

Parrucca sì, parrucca no...

Dopo qualche diversione, che comunque mi sembrava importante, ritorniamo ai consigli un po' più pratici.
Una delle cose che spesso più impressiona chi deve affrontare una chemioterapia è il fatto che probabilmente perderà i capelli. Intanto è importante sapere che NON tutte le chemioterapie fanno cadere i capelli; ma purtroppo quelle per il linfoma in genere sì.
In realtà la chemioterapia in genere non fa proprio “cadere” il capello: è che anche il bulbo del capello viene danneggiato dalla chemioterapia, e inizia a produrre un capello fragile e sottile. Per cui il capello “cade” perché si spezza alla radice, e quando ricresce è in pratica un pelo. Infatti in genere all'inizio rimane un po' di “peluria”: solo se la chemio è lunga e pesante si diventga proprio pelati “a palla di biliardo”.
Una cosa a cui spesso non si pensa è che con i capelli si perdono anche gli altri peli. Non so come funzioni per barba e baffi ma credo sia simile. A me per esempio non aveva impressionato granché perdere i capelli, ma mi ha colpito la mia faccia senza ciglia e sopracciglia. La cosa comoda è dire addio alla ceretta a gambe e ascelle per qualche mese! ^___^ Purtroppo l'unica o quasi cosa positiva di tutta la situazione sparirà alla fine delle cure, vi ricresceranno piano piano dei bellissimi capelli (anche se all'inizio sembrano peluria di pulcino, ma abbiate pazienza) e tornerete a trovare (e pagare) la vostra estetista di fiducia...
Perdere i capelli potrebbe sembrare una cosa da poco, invece è una di quelle che hanno impatto maggiore, soprattutto sulle donne. In fondo un uomo pelato non è poi così strano, anzi mio fratello per esempio si rade a zero apposta (anche se ha la barbetta...). Per una donna però è la prova evidente, esterna, inconfutabile della malattia. Se ci fossero momenti in cui puoi pensare che in fondo non è vero che hai questa “cosa” dentro di te, basta un movimento della testa o passare davanti allo specchio per ricordarti che non è così. Cambia la tua fisionomia. Perdendo anche ciglia e sopracciglia, poi, anche il viso sembra modellato diversamente.
È una cosa importante. Farsi vedere senza capelli è dichiarare apertamente la propria malattia. Quindi abbiamo davanti tre strade.
La prima è, appunto, lasciare la testa così com'è. Ci sono persone che stanno proprio bene con la loro pelata. Ricordo una ragazzina in ambulatorio con la sua bella pelata, vestita di nero alla moda, sembrava appena uscita dalla discoteca. Per un uomo, dicevamo, questa è la scelta quasi obbligata, tanto non daranno una grossa impressione di “malattia”. In estate è la cosa più comoda. Io in casa non ho mai avuto niente in testa quando faceva caldo, e si stava proprio bene.
Per chi invece vuole nascondere questo grosso cambiamento ci sono due vie: la parrucca oppure le varie bandane, foulard, cappellini eccetera.
Come coprirsi la testa è una questione molto personale. Ho visto molte giovani ragazze rifiutare di mettersi una parrucca e cavarsela coi foulard colorati, al tempo stesso soffrendo moltissimo nel sentirsi “diverse” fino a chiudersi in casa. In genere le donne più “grandi” scelgono invece la parrucca. Io, almeno, ho fatto così. In questo caso, qualche consiglio “vissuto” dalla sottoscritta:
  • Se volete che il vostro “cambiamento” passi praticamente inosservato, prendetevi una parrucca simile ai vostri capelli, magari anche con una lunghezza simile. Ovviamente bella! Io mi sono sentita fare i complimenti per il mio nuovo taglio/piega per un anno... ^___^
  • Può anche essere l'occasione di osare quello che altrimenti non potreste fare: liscia anziché riccia, bionda anziché mora... si può anche scherzare con sé stessi!
  • La parrucca va presa il prima possibile. Io sono andata a sceglierla quando ancora avevo i miei capelli, per essere sicura che fosse simile. Così, quando la “caduta” ha iniziato ad essere importante (spazzola piena, ciocche che restano in mano, per non parlare del cuscino la mattina, capelli nel piatto...) sono andata dalla mia pettinatrice (disponibile e gentilissima) e semplicemente... sono uscita con un altra piega! Chi non sapeva della mia malattia non se n'è nemmeno accorto. Penso possa essere la soluzione migliore per chi, per esempio, continua a lavorare.
  • Consiglio sentito con le mie orecchie a una ragazza di 18 anni che aveva capelli lunghi un metro: “ Ti conviene tagliarli corti prima, così ti abitui!”. Sarà un consiglio dato con tutta la buona volontà, ma è un consiglio idiota. Avere i capelli corti NON è come NON avere capelli. E se scegli di mettere una parrucca simile alla tua capigliatura come lo spieghi il passaggio lunghi – corti – lunghi? Tenetevi i vostri capelli finché potete, e fate i conti con la vostra pelata in privato: sono affari vostri come reagite.
  • Su cappellini e bandane non ho molta esperienza, anche se alcuni che ho visto sono veramente belli. Io ho iniziato a mettere la cuffietta in inverno a casa perché avevo freddo, solo ultimamente ho iniziato a metterla per andare ai controlli in ospedale (ti fanno entrare nel parcheggio interno! ^___^).
  • Esiste un'associazione, “La forza e il sorriso”, che si occupa proprio di aiutare le donne malate di tumore a sentirsi comunque “belle” e donne. Organizzano dei corsi di trucco in cui, oltre ad incontrare altre donne malate e quindi sentirsi meno sole, alcune estetiste insegnano a creare il proprio make-up anche con alcuni “trucchetti” (es. come disegnare sopracciglia che non ci sono). Io ci sono andata e mi sono trovata proprio bene. Trovate le informazioni su Internet.
  • Alcune regioni danno un contributo per l'acquisto della parrucca come “protesi sanitaria”, informatevi presso il vostro medico o presso l'Ufficio Protesi della vostra ASL.
In conclusione: siate pronti e non lasciate che la caduta dei capelli vi sconvolga la vita. Avete tutti i mezzi per affrontarla. E poi, vi assicuro, ricresceranno. A volte anche più belli di prima.

sabato 12 marzo 2011

Motivazioni (dedicato a Giuliana e non solo)

E' un capitolo che non avevo mai pensato di mettere nel blog, non qui perlomeno. Però mi rendo conto che è importante parlarne.
Quando ti ammali di tumore il coro è unanime: “Devi farti forza, devi combattere!”. Ti raccontano di amici cugini e conoscenti che avevano guarda caso proprio lo stesso problema e sono guariti e tornati come prima. Ti dicono che ti sono vicini e sono disponibili ad aiutarti: questo non lo dimenticare perché verrà il momento in cui davvero avrai bisogno di aiuto, e molte di queste persone sono sincere nel volertelo dare.
E tu, che ti sei ammalato, come ti senti?
Giuliana dice che è disperata. Per me il percorso è stato diverso, così come la storia delle nostre malattie: la sua da subito aggressiva, la mia sembrava un “normale” Hodgkin. Per cui io, sapendo anche qualcosina dai miei studi, non ero tanto preoccupata. Sapevo che mi aspettava la chemioterapia, ma sapevo anche che le probabilità di guarigione erano ottime, avevo anche un amico che aveva avuto l'Hodgkin due anni prima e ora era guarito e aveva pure avuto una bella bimba. Il verbo “lottare” non mi apparteneva: si trattava di aspettare che le cure facessero il loro corso e poi sarei tornata alla mia vita. E così più o meno è stato: con le fatiche di chemio e radio, certo, ma con la certezza granitica che stavo affrontando tutto quello per un periodo limitato, per imparare qualcosa, per poi tornare alla mia vita.

Con la recidiva è stato diverso. Difficile accettare un nuovo sconvolgimento di piani. E poi stavolta la guarigione non è così scontata. Anche a me hanno detto che prima bisognava fare chemio e autotrapianto; se non fosse funzionato, si sarebbe andati al trapianto. È Il normale procedere per gradi in medicina, ed è anche utile: sposta molto in là il momento in cui non hai proprio più niente da provare (battuta un po' cinica, ma a volte è così).

Ho fatto una nuova chemioterapia (alte dosi), ho fatto l'autotrapianto, non ha funzionato, eccomi al trapianto. E quest'anno è stato molto molto diverso dalla prima volta in cui mi sono ammalata. Quando le cose si fanno davvero serie, quando la paura si fa sentire, le motivazioni diventano importanti.
Qui si tratta davvero di “lottare”. Lottare per tirare fuori un sorriso un giorno in cui non ti sembra ci sia proprio niente da ridere. Lottare per aver voglia di continuare le cure anche quando non ne puoi più, perché sai che servono. Lottare, soprattutto, per non chiuderti in te stesso ma condividere quello che provi con chi ti sta più vicino e ti aiuta. E non è per niente facile.
Anche perché il “lottare” richiede una motivazione, una meta, un obiettivo, che non sia la semplice guarigione. Per una madre o un padre possono essere i figli: devo guarire per vederli crescere. Per una persona giovane qualche progetto di vita: voglio sposare quella persona, voglio fare quel lavoro. Ma tutte si riassumono nella motivazione prima: VOGLIO VIVERE. Quella che resiste anche se ti capita di stare così male da dimenticare tutto il resto.

Se una persona con tumore è motivata, va avanti. Non sappiamo se ce la faremo, ma ci proviamo con tutte le nostre forze, o quasi. Quindi, visto che il tempo per pensarci di solito ce l'avete, provate a domandarvi: ma io voglio vivere perché? Se potete, scrivetelo, e tornate a rileggervelo: a volte col tempo le motivazioni cambiano, ma l'importante è che ci siano. Vi può aiutare, nei momenti difficili.

Ogni tanto ci sono i momenti di sconforto. Mi da molto fastidio quando qualcuno mi vede di cattivo umore o un po' abbattuta e mi dice “Dai, tirati su, devi farti forza”. Primo: ho tutti i motivi per essere depresso o abbattuto. Secondo: vorrei vedere te al mio posto. Terzo: Il più delle volte insieme alla giusta compassione (com-passione: patire con, qualcuno condivide con te la sofferenza, e questo è bello) c'è anche il “fastidio” nel vedere persone depresse per la loro malattia. Mi ha molto colpito una riflessione che ho sentito una volta: persino Gesù sulla croce ha gridato per il dolore e l'abbandono. Perché vogliamo negare a chi soffre, a chi si sente sprofondare, il diritto del pianto, del grido? Certo è importante alleviare tutto quello che possiamo, ma faccio un appello a qualche non malato (parente ecc) che leggesse questo blog: non pretendete che i vostri parenti malati siano sempre combattivi, sereni, coraggiosi... persino le persone sane hanno i loro giorni “no”. Accettatele così come sono, anche se non è facile.

Ultimo appunto: credo che quasi tutti i centri oncologici offrano anche un supporto psicologico. Se c'è, usatelo. Anche se siete tra quelli, come me, che della psicologia si sono sempre fidati poco. Serve. A me è servito.

Prepararsi a tutto

Post particolarmente antipatico, non so neanche se lo inserirò, ma credo di sì, perché altrimenti continuiamo a nasconderci dietro a uno stuzzicadenti.
Si muore.
Nota bene: non ho scritto che “di tumore a volte si muore”. Si muore e basta. Tutti, prima o poi.
Ma il tumore, soprattutto se sei giovane, ti sbatte in faccia questa verità con violenza, e soprattutto ti ci fa arrivare con lentezza, paura, spesso sofferenza. Per questo ci spaventa tanto.
Quando mi sono ammalata di Hodgkin ero serena perché “il 90% guarisce con la sola chemioterapia”. Cosa fai quando fai parte del 10%?
Spesso sento dire che tanti vorrebbero andarsene in fretta, senza accorgersene, senza saperlo. Ha i suoi vantaggi: ti risparmi un bel po' di paura e probabilmente sofferenza.
Eppure mi fa riflettere il fatto che fino a non molti anni fa la morte improvvisa era considerata un dramma, quasi una maledizione, perché impediva di “sistemare i propri affari” prima di andarsene: lasciare la famiglia senza debiti se possibile, risolvere litigi per non lasciarli “pendenti” agli eredi, disporre le proprie ultime volontà per chi è credente ricevere i conforti religiosi, per chi non lo è avere i propri cari accanto ed essere meno solo... In questi tempi in cui si parla tanto di “eutanasia” (con tante confusioni...), secondo me per paura di perdere già in vita il controllo sulla propria vita e morte, credo sia importante recuperare questi valori.
È un po' il senso dell'”essere pronti”. Ho un Hodgkin, sono motivata più che mai a guarire, ma se ciò non dovesse succedere sappiate che ho vissuto una vita piena, e sono felice di averla vissuta. Lotterò con tutte le mie forze per guarire, sapendo che anche se perdo la lotta col tumore avrò vinto la lotta della mia vita, perché la mia vita ha avuto un senso.

Questo richiede tanto lavoro interiore, oggettività e a volte l'aiuto di qualcuno con cui possiamo parlare serenamente anche di queste cose. Persone del genere sono difficilissime da trovare, perché questi discorsi fanno pensare automaticamente alla propria morte e non li vuole fare nessuno. E poi lo sforzo di tutti quelli che ti vogliono bene è spingerti a guarire innanzitutto.

Comunque: siete liberi o no di farci un pensierino, soprattutto visto che dall'Hodgkin, appunto, in genere si guarisce bene. Ma potrebbe essere comunque una buona occasione per pensare al senso profondo della vostra vita.
Pensateci un po'... e poi tornate a lottare. Magari persino più sereni.

Un po' di motivi per sperare e lottare...

sabato 5 marzo 2011

E' necessario, forse, un chiarimento.
Io ho due blog.
Questo era il primo, nato con l'idea di vivere e condividere le mie esperienze col linfoma di Hodgkin. Esperienze molto pratiche, come avrete visto e vedrete.
E' tanto che non ci scrivo, e non per sbaglio. Perché credo che in un blog “personale” si possa scrivere, fondamentalmente, per due motivi (poi ce ne possono essere tanti altri, per carità, ma i più importanti sono due).
Il primo è perché mi sembra di avere qualcosa da raccontare di interessante. Quello che penso, quello che vivo. Che gli altri lo trovino interessante è carino, può essere utile in alcune situazioni, ma il blog è “mio”. In realtà io sono arrivata a questo tipo di blog al secondo tentativo, e se qualcuno lo vuole leggere è www.klalla75.blogspot.com. Dal poco che so di blog, in genere è molto “attuale”: uno pubblica foto, pensieri, citazioni, video ecc... che gli interessano in quel momento.

Il secondo motivo, a parer mio, per scrivere un blog, è avere qualcosa da dire che possa essere utile agli altri perché tu hai avuto esperienze simili. Ci sono tanti blog di viaggi e racconti di questo genere. In questo caso, le cose scritte sono meno “fresche”. Quando l'ho iniziato, questo blog voleva essere di questo tipo, e forse continuerà prevalentemente ad esserlo. Dopo mesi di chemioterapia e con il lavoro che faccio pensavo di aver visto e capito non tutto, ma molto del linfoma di Hodgkin e volevo raccontarlo.

Albero di Natale "alternativo"...
Problema: mi sono riammalata.
Io volevo scrivere un blog sul linfoma di Hodgkin che fosse incoraggiante, che raccontasse cose vissute da chi già era guarito. Per questo c'è stata una pausa tanto lunga, in cui non ho più scritto.

Ho parlato con una psicologa e mi ha confermato che, almeno tra i malati di linfoma di Hodgkin, i gruppi di auto-aiuto sono difficili. Rischi di trovare persone “meno malate” di te: cosa possono capirne loro? Oppure persone che non stanno guarendo: e se succede anche a me? No no, per niente facile.

Però l'altra sera ho ricevuto questo commento a un post:
“anch'io ho il linfoma di hodgkin e ho fatto il ciclo ABVD dopo un mese recidiva, ho iniziato un'altra chemio la BEACOOP dopo due mesi recidiva, adesso devo iniziare la radioterapia, ma mi hanno già detto che essendo molto aggressivo non è da escludere il trapianto. sono disperata
Giuliana”
E a questo punto non posso più tacere. Riprenderò anche questo blog con la continuità con cui posso, con la serenità con cui posso. Sempre convinta che insieme possiamo vincere. E che il linfoma è solo una parte della vita, e noi viviamo per tutto il resto.

sabato 19 febbraio 2011

Aurora

Alba molto sfuocata dal mio letto delle Molinette...ma in genere gli inizi e le rinascite sono sempre un po' confusi... Consideriamolo un esperimento.

Da oggi e per sempre: buon giorno.